Bansky

 La cosa che odio di più della pubblicità è il fatto che attiri tutti i giovani brillanti, creativi e ambiziosi, lasciandoci principalmente con persone lente e auto-ossessionate dal diventare i nostri artisti… L’arte moderna è un’area di disastro. Mai nella storia dell’umanità così tanti hanno usato tanto per dire così poco.


Il regalo di Natale per la Chiesa
Un busto di cardinale vandalizzato e’ stato installato in una galleria di Liverpool da Banksy, l’artista di strada britannico.

Cardinal Sin
Cardinal Sin

(Cardinal Peccato) ha il volto scalpellato e sostituito da mattonelle bianche da bagno che creano un effetto-pixel: l’obiettivo dell’opera e’ una protesta per lo scandalo della pedofilia nel clero cattolico.

“Non sono mai sicuro chi merita di essere messo su un piedistallo o schiacciato da un piedistallo”

La scultura, che l’artista ha definito “un regalo di Natale, perché in questo periodo dell’anno è facile dimenticare il vero significato della Cristianità, le menzogne, la corruzione, gli abusi”,  e’ stata installata alla Walker Art Gallery accanto a autentiche opere di arte religiosa del Seicento: da Murillo a Rubens.
La galleria non ha avuto esitazioni ad accettare il Bansky:
“Abbiamo sempre mostrato opere controverse che fanno discutere”
ha detto il responsabile Reyahn King. (ANSA).


Cindy Sherman

“Benchè non abbia mai considerato le mie opere come espressione di un femminismo attivo né come una presa di posizione politica, esse si basano indubbiamente su quanto io come donna osservo in questa società.
Ed in parte sono una storia d’amore e di odio: il make-up e il glamour, infatti, mi affascinano, ma allo stesso tempo li detesto.
Ciò deriva dal desiderio di apparire belle e sexy come vere giovani donne, senza sentirsi subito prigioniere di questa struttura.”

Tra il 1977 ed il 1980 la Sherman lavora alla sua prima rilevante e ancora oggi più nota opera: “Untitled Film Still” si compone di 69 scatti in bianco nero in cui la S. (che non si definisce una fotografa ma una performer) si ritrae  in una serie di pose e situazioni, ciascuna delle quali sembra essere tratta da un film o da un programma televisivo. Queste immagini sono una riflessione sui ruoli di genere e sulle rappresentazioni femminili nei media popolari, e Sherman si presenta come l’attrice in questi ruoli stereotipati. L’opera è stata molto influente nella fotografia contemporanea ed è diventata un’icona del femminismo artistico degli anni ’70. La sua capacità di sfidare gli spettatori a riflettere sulle rappresentazioni culturali delle donne la rende ancora oggi una visione interessante e provocatoria
Unititled Film Still #14, 1978 Cindy Sherman

Untitled Film Still #14, 1978

Quando andavo a scuola cominciava a disgustarmi la considerazione religiosa e sacrale dell’arte, e volevo fare qualcosa … che chiunque per strada potesse apprezzare… Ecco perché volevo imitare qualcosa di appartenente alla cultura, e nel contempo prendermi gioco di quella stessa cultura. Quando non ero al lavoro ero così ossessionata dal cambiare la mia identità che lo facevo anche senza predisporre prima la macchina fotografica, e anche se non c’era nessuno a guardarmi, per andare in giro

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L’inverno della cultura

Jean Clair e L’inverno della cultura

 

 

 

L’INVERNO DELLA CULTURA
Jean Clair
Skira  2011

”Quando il sole della cultura è basso sull’orizzonte,
anche i nani proiettano lunghe ombre.”
Karl Kraus

Fine intellettuale, critico d’arte, accademico di Francia, Clair rappresenta da oltre vent’anni la più autorevole voce fuori dal coro nel mondo dell’arte contemporanea. Questo suo ultimo lavoro pubblicato nel 2011, pur non avendo il pregio della novità, ha inaspettatamente provocato un lungo strascico di reazioni e polemiche (oltre ad un altrettanto inaspettato successo editoriale ). Dal Grande ABO «Jean Clair non chiede più all’arte di essere domanda sul mondo, ma piuttosto una conferma del già dato e del già vissuto. La sua è una sfiducia nel futuro, vede l’arte come una minaccia» ad Angela Vattese (http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-12-18/jean-clair-catastrofista-081811.shtml?uuid=Aac3kKVE)

Jan Fabre

attraverso le mie opere io cerco di creare nuove possibilità di sguardo sul mondo, di aprire nuovi universi, e di non essere svuotato dal mondo esterno, dal mondo contemporaneo. Ciò che ispira il mio lavoro è una fede costante nell’umanità, una perenne empatia nei confronti della vita.

 

 

 

Jan-Fabre-Il-cervello-dello-scienziato-courtesy-Magazzino-dArte-Moderna-Roma-480x720Il cervello dello scienziato

JF_2011_Negro-with-crows-dettaglio 2011 gusci di coleottero su legno cm 228 x174Negro with crows (dettaglio), 2011
gusci di coleottero su legno

Joana Vasconcelos

La mia arte è un gioco tra l’alta cultura e la cultura popolare. Credo che l’arte debba essere accessibile e coinvolgente per tutti, non solo per un pubblico elitario. Cerco di creare opere che siano divertenti e che abbiano un impatto emotivo sui suoi spettatori 

A Noiva (la sposa), 2001

presentato alla Biennale 2005, il lampadario è fatto di centinaia di Tampax. L’opera è stata respinte in occasione della personale nelle sale della reggia di Versailles nel 2012


Marilyn, 2009
pentole da cucina

 

Doris Salcedo

Il mio obbiettivo è onorare la storia degli scomparsi

Shibboleth

Turbine Hall (Tate Modern) Unilever Series ed. 2007
Una crepa attraversa per la lunghezza il pavimento della Turbine Hall.
Inizia come una leggera incrinatura che via via si dilata, come avviene durante un terremoto. “Shibboleth” è una parola ebraica, di difficile pronuncia per uno straniero. Il riferimento è ad un passo del Libro dei Giudici (Vecchio Testamento) , secondo il quale alla fine di una battaglia, i vincitori riuscivano ad individuare i nemici che volevano attraversare il Giordano, proprio perché non riuscivano a pronunciare correttamente quella parola e li decapitavano. Anche la lingua diventa frattura, limite invalicabile.

Plegaria Muda (preghiera muta)

particolare

l’installazione è composta da cento coppie di tavoli sovrapposti, da cui nascono sottili fili d’erba. Tra i tavoli una zolla di terra. La disposizione è labirintica, costringendo il visitatore a percorsi obbligati.
Doris Salcedo si è ispirata per questa installazione alle vittime delle stragi avvenute per mano dell’esercito in Colombia, suo paese natale; in particolare ad un episodio avvenuto nel 2003    in cui 1500 giovani vennero uccisi dai militari senza alcuna apparente ragione. In realtà, scrive la Salcedo: “era la  conseguenza di “un sistema di incentivi e di ricompense per l’esercito” promosso dal governo, se questi avesse provato di avere ucciso un gran numero di guerriglieri in combattimento. L’esercito cominciò quindi a pagare giovani provenienti da aree lontane e depresse del paese, offrendo loro un lavoro per poi trasportarli in luoghi dove venivano uccisi e classificati come ‘guerriglieri non identificati: morti in combattimento con arma da fuoco’. Ho accompagnato per diversi mesi un gruppo di madri che cercavano i loro figli scomparsi o che stavano provando a identificarli nelle tombe rivelate dagli assassini – prosegue la Salcedo -. Quindi mi unii a loro nel doloroso e arduo processo di elaborare il lutto e di impegnarsi nel vano tentativo di ottenere giustizia malgrado la barbarie commessa dallo stato”.