Volevo attaccare il sistema dell’arte e essere generoso. Volevo che il pubblico potesse conservare il mio lavoro. Era davvero eccitante che qualcuno potesse venire alla mostra e potesse andarsene a casa con un mio lavoro. Freud ha detto che mettiamo in scena le nostre paure per diminuirle. In un certo senso questa generosità – il rifiuto di una forma statica, della scultura monolitica, a vantaggio di una forma fragile, instabile – era un modo per mettere in scena la mia paura di perdere Ross, che scompariva a poco a poco davanti ai miei occhi. Ed è una sensazione molto strana quando vedi il pubblico che entra in galleria e se ne va con un pezzo di carta che è tuo
“…Gonzalez-Torres è un artista cubano, nato nel 1957, e il suo percorso artistico può essere definito come una vera e propria poetica dell’assenza. Egli non pretende con la sua arte di trovare una soluzione ai problemi, alle grandi domande della vita , ma semplicemente di metterle davanti allo spettatore e fornire lo spunto di una riflessione. I suoi lavori parlano di amore , di perdita e di sofferenza, ma sono opere piene di vita e di gioia.
Il centro del suo mondo e della sua arte è stato il suo compagno Ross, al quale ha dedicato non solo la sua vita intima ma anche tutta la sua produzione artistica, simboleggiando ciò che comporta la completa fusione nell’amore: la totale donazione di sé all’altro che conduce anche ad un venire meno dell’integrità di sé stessi, abbracciando coscientemente la propria fragilità in favore di questo sentimento. L’assenza poi, diventa un mezzo per comprendere il valore unico della permanenza: confrontando la morte di Ross con la propria (anche lui aveva contratto l’AIDS), Torres non esprime la morte, ma un profondo desiderio di continuità della vita.”(Cristina Pirsigilli)