Ultimo degli artistar invitato a proporsi nella Turbine Hall per le Unilever Series,Tino Sehegal (londra 1976) è il più noto (unico?) esponente della discussa e discutibile “arte evanescente”. Delle sue performance non rimane nulla, né foto né video. Resta un copione, solo oggetto fisico acquistabile (a caro prezzo!) dai musei o dai collezionisti. L’opera è fatta da persone appositamente ingaggiate e istruite, a volte dagli stessi addetti alla sicurezza delle sale che ospitano la performance. I visitatori entrano in sale completamente vuote per essere improvvisamente spettatori di improvvisi movimenti di altre persone, interventi canori e quant’altro. A volte il pubblico è parte necessaria dell’opera. Nel 2009 alla Villa Reale di Milano uno dei custodi avvicinava i visitatori con apparente casualità, esprimendo scetticismo e perplessità sulle opere di Sehegal e sull’arte contemporanea in genere.
Nel 2009 il Centre Pompidou di Parigi ha acquistato un’opera di Tino Sehegal1 dal titolo This Situation, una performance che prevede sei attori che discutono di diversi argomenti legati alla politica e all’attualità che coinvolgono di volta in volta i visitatori, e che a ogni ingresso di una nuova persona nella sala gridano in coro ” welcome in this Situation”.
https://youtu.be/O0VIxubUu4c
Tino Sehgal invita i visitatori a partecipare alle constructed situations: unirsi alle coreografie danzate nelle sale vuote di gallerie e musei o a rispondere a dialoghi di cui costruisce lui stesso la struttura. Tu di che cosa hai bisogno? oppure Questo è molto contemporaneo (2005), sono alcuni dei tormentoni che hanno fatto da titolo alle sue “opere” e che questionavano direttamente il visitatore.
La sua formazione unisce studi di danza (compiuti a Essen) e di scienze economiche (Berlino). Quest’ultimo aspetto sembra predominante nella sua ricerca. Sehgal vede, in linguaggi come la danza e la musica, paradigmi alternativi basati sulla trasformazione dei comportamenti piuttosto che su quella dei materiali. I suoi sono materiali espressivi di una pratica di arte relazionale e partecipatoria che non produce alcun residuo oggettuale e di cui vieta anche la documentazione. Ed è attraverso queste forme che l’artista dichiara di veicolare una riflessione sulla produzione e distribuzione dei beni di consumo e, più in generale, sulla possibilità di nuovi modelli economici.
Forma i suoi interpreti – come l’artista li definisce – lavoratori precari, direttamente nei vari luoghi in cui è chiamato a intervenire, per farli agire in sua vece. In sala troviamo i suoi interpreti , divisi per turni di lavoro, che vanno dalle 4 alle 7 ore. Il loro compito non è di tipo spettacolare, quanto di essere “autori di relazioni sociali e di momenti di riflessione sulla possibilità di nuovi modelli economici”. Sehgal lavora sulle interazioni ma senza interagire: vende situazioni ed esperienze ai suoi visitatori.
Maia Giacobbe Borelli (alfabeta2, marzo 2018)